BIM4PA è una dizione che ha come obiettivo quello di assistere la Domanda Pubblica nel comprendere e adottare le logiche digitali sotto un profilo culturale, tecnico, economico finanziario, organizzativo e giuridico.
Non a caso, a partire dal cosiddetto Legal Bim, l’accordo collaborativo offerto da schemi come il FAC-1, mira a contemperare i cinque aspetti sopraddetti.
Che cosa può significare BIM4PA?
Per rispondere a questa domanda occorre intersecare i processi, oggi, peraltro, messi in discussione, di aggregazione delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti, la maggiore efficienza dei procedimenti amministrativi relativi ai contratti pubblici richiesti alla amministrazione pubblica, le strategie di digitalizzazione della stessa.
Il tema del Building Information Modeling è, in particolare, connesso, come è evidente dalla lettura del DM 560/2017, al fare della Domanda Pubblica il driver della digitalizzazione dell’Offerta, specificamente della intera catena di fornitura.
Obiettivo complementare a esso, che investe gli Sportelli Unici per l’Edilizia e per le Attività Produttive, è quello di snellire i procedimenti inerenti all’edilizia privata.
Occorre, perciò, domandarsi se questi obiettivi, resi manifesti anche a livello europeo e comunitario dallo EU BIM Task Group, siano realmente perseguibili e a quali condizioni.
È opportuno, in primo luogo, constatare, al netto di una offerta di consulenza assai eterogenea e non sempre adeguata, i punti di riferimento principali, specie per gli appalti di servizi e di lavori, che siano costituiti, da un lato, da una serie di amministrazioni centrali e locali che si sono cimentate colla sfida digitale, in maniera spesso controversa, e, da un altro canto, che siano offerti dall’emulazione acritica di documenti di gara altrui.
Gli stessi osservatorî disponibili sul tema restituiscono, invero, una situazione instabile, fortemente condizionata, di anno in anno, da soggetti che si alternano come prevalenti: le serie storiche non appaiono, infatti, ancora sufficientemente rappresentative né stabilizzate.
La chiave di lettura più corretta consta, anzitutto, per quanto attiene al contratto pubblico, nel comprendere in che misura il procedimento amministrativo e i suoi endoprocedimenti (dalla programmazione pluriennale del singolo lavoro e dalle procedure espropriative alla conferenza di servizi e ai processi di aggiudicazione) possano essere davvero digitalizzati, vale a dire resi computazionali, numerici.
In secondo luogo, se ci si riferisce al Bim, occorre comprendere come i metodi siano quelli del Project Management (PM) e gli strumenti peculiari non siano quelli del Bim Authoring (di produzione dei modelli informativi), bensì di istruttoria, di sorveglianza e di verifica delle prestazioni delle (contro)parti.
Questa considerazione riporta al punto originario: vi è attualmente una forte attenzione per l’efficacia dei procedimenti, incentrata sulla lunghezza dei tempi di attraversamento che verte principalmente sulla natura dei disposti legislativi, da riformare o da sospendere, ma pure sulla qualità dell’operato della amministrazione pubblica.
Per contro, l’ufficio tecnico, ma, più in generale, il combinato disposto dei processi amministrativi e tecnici del committente pubblico, si palesa come una entità articolata per tipologia di ente e per contesto in cui quest’ultimo agisce, entità afflitta spesso da carenze di organico, così come da mancati ricambi generazionali che vede spesso una stanca dirigenza apicale scongiurare una rapida trasformazione digitale.
Ed è in questo difficile ambito, entro questo paesaggio, che il Bim dovrebbe innestarsi e, persino, forse velleitariamente, rendere la committenza pubblica attore principale, secondo i dettami offerti dalla normativa internazionale, sovranazionale e nazionale, particolarmente quella dettata dalle norme UNI EN ISO 19650 -1 e UNI EN ISO 19650 – 2.
Gli «strumenti» che dovrebbero abilitare una tale ipotesi sono dispositivi, come l’ambiente di condivisione dei dati (AcDat), e documenti, come il capitolato informativo (CI), che racchiude requisiti informativi raccolti dapprima a livello organizzativo, poi a livello patrimoniale e, infine, a livello operativo.
Occorre, perciò, chiedersi se la committenza pubblica analogica cui siamo abituati, già oggi sollecitata in senso gestionale, specialmente, nella figura del responsabile unico del procedimento (RUP) e del suo apparato di supporto, possa realizzare che il Bim la costringa a «praticare», prima ancora che a «chiedere».
Il che dovrebbe avvenire in un ecosistema digitale, l’AcDat, nel quale siano contenuti tutti i dati e tutte le informazioni che pertengono al procedimento, ma che in larga parte esulano dal contenuto dei modelli informativi; l’AcDat è, però, soprattutto, il «luogo» in cui avviene l’esecuzione del contratto, nel quale strumenti analitici di intelligence potrebbero permettere di «sorvegliare» la catena di fornitura.
Parimenti, il capitolato informativo, di per se stesso un documento finalizzato a generare altri documenti, diviene dispositivo di modellazione e di strutturazione di dati, allorché e formulato attraverso strumenti di programmazione degli spazi, di simulazione dei flussi di persone e di cose, di configurazione delle proprietà minime degli oggetti.
Tali strumenti, in seguito collegabili ai modelli informativi in evoluzione, saranno connessi a dispositivi di verifica di questi ultimi.
Di conseguenza, se si desiderasse disporre di un committente autenticamente digitale, questi dovrebbe muoversi il più possibile computazionalmente, perché le fasi della progettazione e della esecuzione dei lavori sono finalizzate alla gestione dei cespiti immobiliari e infrastrutturali e, pertanto, dai criteri di esercizio, di Operations & Maintenance, dovrebbe avere origine la funzione di committenza.
Il committente sarebbe, allora, definibile come l’ideatore, l’acquirente e il fruitore di modelli e di strutture di dati numerici abilitanti la vita utile di servizio del bene fisico, supportato dal suo «gemello digitale», vale a dire dalla sua «replica» (non «riproduzione») immateriale alimentata da flussi di dati aggiornati scaturenti dai sensori.
Qui, tuttavia, appare la vexata quaestio del documento di indirizzo preliminare (DIP), cioè dell’apporto (meta)progettuale del committente pubblico che indica come l’«informazione» (il Bim) non possa separarsi dalla «decisione» (il PM).
Sorge, perciò, un quesito: sarà mediamente in grado questa amministrazione pubblica, tanto più se seguiterà a essere tanto frammentata e parcellizzata, di realizzare queste premesse?
Vi sarebbe da dubitarne se si volesse affidarsi alle realistiche premesse della raccomandazione della Commissione Europea inerente alla professionalizzazione del «compratore (acquirente) pubblico», presente in Europa in 250.000 unità, di cui 35.000 in Italia.
L’osservazione si complicherebbe ulteriormente qualora riconoscessimo che lo «spazio» ormai è in-formato primariamente dai comportamenti (dalla «esperienza», percettiva, sensoriale dei singoli utenti), che, dunque, il sistema costruttivo, gli elementi tangibili, sono parte di un sistema di relazioni e di interazioni più ampio.
Si tratta di una opzione difficilmente sottoponibile a una struttura tecnica di committenza oggi nel nostro Paese, non fosse per il fatto che essa non sarebbe forse nemmeno da essa stessa compiutamente intellegibile, ma evidenzia una gradualità di adozione del Bim che potrebbe, nella maggior parte dei casi, arrestarsi al formalismo che produce, in sede progettuale, modelli informativi prevalentemente geometrico dimensionali, poveri di dati alfanumerici, destrutturati allo scopo di generare documenti, ma inutilizzabili per gestire la realizzazione dei lavori e l’esercizio del cespite.
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