Ciò che, a prescindere dall’obbligatorietà contemplata dal DM 570/2017, sta emergendo con prepotenza è la difficoltà espressa dalle pubbliche amministrazioni a comprendere e a valutare l’importanza della digitalizzazione, e quindi del Bim, per ciò che attiene ai contratti pubblici e all’edilizia privata.
Il risvolto che più inquieta è, del resto, una certa, diffusa, indifferenza al tema che, per quanto legittimamente oscurato da priorità contingenti, non solo è dominante sullo sfondo dei cambiamenti epocali, ma pure interessa con straordinaria pervasività ciascun settore economico e sociale.
La digitalizzazione, che è fenomeno vasto e complesso, ha approcciato il settore della costruzione e dell’immobiliare attraverso l’acronimo Bim che, pur riferendosi a un ambito di applicazione specifico, progressivamente ha assunto il senso della parte per il tutto, coincidendo con qualunque soluzione di carattere numerico-computazionale riconducibile alla digitalizzazione.
Naturalmente, la categoria della amministrazione pubblica è assai ampia ed eterogenea, cosicché la differenza che può intercorrere, ad esempio, tra una amministrazione centrale dello stato e un ente locale è notevole.
Pur non potendo, di conseguenza, generalizzare eccessivamente, è possibile, però, effettuare qualche ragionamento selettivo, indirizzandosi, a titolo esemplificativo, ai decisori politici e ai dirigenti apicali.
Decisori e dirigenti chiamati a contestualizzare il Bim
I temi che si muovono attorno al Bim sono essenzialmente legati alle questioni della qualità della spesa pubblica e della valorizzazione dei beni immobiliari e infrastrutturali, disponibili e indisponibili.
In gioco è, infatti, la qualificazione e la professionalizzazione dei soggetti committenti, possibilmente entro la cornice di processi aggregativi per le funzioni committenti e concedenti, non necessariamente ispirati alla centralizzazione.
Nonostante che, in apparenza, il decreto ministeriale ragioni per singoli procedimenti, e per relative soglie e nature, la sfida riguarda l’introduzione dei processi digitali nell’intera organizzazione avendo di mira il funzionamento delle strutture tecnico-amministrative sui piani dei contratti pubblici, della pianificazione urbanistica e dell’edilizia privata.
Di conseguenza, il Bim deve essere contestualizzato, da parte di decisori politici e di dirigenti apicali, nell’ottica delle policy che presiedono alle strategie e ai mandati, «contrattualizzato» entro quadri politici e gestionali.
Per quanto inerisce ai contratti pubblici, la digitalizzazione del Bim può operare sinergicamente sul livello di una migliore gestione dei tempi di attraversamento relativi ai procedimenti, includendo tutti gli endo-procedimenti, nonché sulla caratterizzazione della progettazione e della realizzazione dei lavori incentrata sul ciclo di vita dei cespiti immobiliari e infrastrutturali.
Questa considerazione spiega come la digitalizzazione verta contemporaneamente sulla efficienza e sulla efficacia dei processi (dalla valutazione della fattibilità dell’investimento ai procedimenti autorizzativi, dall’aggiudicazione degli appalti e delle concessioni alla gestione dell’esecuzione dei contratti: ma anche di approvazione dei piani urbanistici attuativi e di rilascio o diniego dei titoli abilitativi) e sui contenuti attesi e conseguiti in merito alle opere.
Per questa ragione, il punto di ingresso non può essere offerto esclusivamente dalla digitalizzazione di un singolo procedimento, esperimento pilota eventualmente oggetto della cogenza, bensì deve darsi attraverso un programma articolato riconducibile al livello della intera organizzazione per quanto concerne la programmazione pluriennale degli investimenti in spesa corrente e in conto capitale.
Far comprendere il valore dei dati
Si tratta, cioè, di comprendere la centralità dei dati, che si presentano sotto forma numerica, dunque computazionale, strutturati in informazioni, sfruttabili e capitalizzabili e potenzialmente notarizzabili attraverso i registri distribuiti.
Serve, dunque, più che insistere sul Bim, che, peraltro, viene a coincidere per molti esclusivamente con gli strumenti e colle tecnologie legate alla produzione dei modelli informativi, accentuare l’attenzione che deve essere riposta sul valore dei dati numerici, strutturati, semanticamente interpretabili, per accrescere il valore dei contenitori (degli edifici e delle infrastrutture) e dei contenuti (le attività che essi ospitano).
Il che forza le stazioni appaltanti e le amministrazioni concedenti a introdurre sistemi integrati di Information Management e di Project Management e a immaginarsi come committenti di beni tangibili (edifici o infrastrutture) sempre più sensorizzati e connessi a modelli di dati numerici strutturati, tempestivamente aggiornati, che permettano una migliore progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione/esercizio dei beni commissionati: anche attraverso modalità di «intelligenza artificiale» che, in realtà, rappresentano sovente maniere di sfruttare serie storiche di dati strutturati al fine di addestrare algoritmi in grado di proporre previsioni sugli accadimenti e sui comportamenti futuri.
Se, peraltro, i primi tre elementi (progettazione, realizzazione e manutenzione) impattano direttamente sui cespiti fisici e sulle loro prestazioni, il quarto fattore (gestione/esercizio) ha a che fare con la qualità della fruizione da parte dei cittadini/utenti.
Investimenti, rischi, utilità
Per i decisori politici e per i dirigenti apicali la mitigazione del rischio (relativa alle prime tre componenti summenzionate) è fondamentale in termini di bancabilità degli investimenti (tanto più nelle forme partenariali) e di successo delle operazioni immobiliari e infrastrutturali, mentre l’utilità sociale rappresenta una ulteriore decisiva leva per incrementare il consenso, oltre che per espletare le funzioni istituzionali.
Sia nel caso dei contratti pubblici (luogo di concentrazione dei programmi elettorali) sia in quello dell’edilizia privata (luogo, peraltro, di attrazione degli investimenti sul territorio) la posta in gioco riguarda la capacità della amministrazione pubblica, nei suoi diversi organi, di gestire la selezione, l’istruttoria, il monitoraggio, la sorveglianza, la gestione e la verifica/approvazione dei procedimenti con logiche, metodi e strumenti digitali: a prescindere da altri ruoli (come quelli propri alla progettazione) che talora possano essere svolti internamente all’organizzazione.
A questo fine, si pone l’istanza, piuttosto sensibile, riguardante la opportuna calibratura degli investimenti formativi e strumentali che l’amministrazione pubblica è chiamata ad affrontare, alla luce della età anagrafica del personale, del tasso di sostituzione dell’organico, della preoccupazione delle risorse umane più esperte nei confronti di modalità inedite.
È in questa sede, infatti, che si può meglio comprendere che cosa sia il cosiddetto atto organizzativo previsto dal DM 560/2017: non una determina dirigenziale formale, bensì il documento istitutivo di un processo di riorganizzazione della amministrazione che si concreta anche nella redazione di linee guida sui processi digitalizzati.
Non è, ovviamente, possibile presupporre che tutte le transazioni informative e tutti i processi decisionali, talora oggetto di forme di automazione (legate alla leggibilità dei dati da parte degli algoritmi), possano essere espletate in forma computazionale, ma il challenge da intraprendere investe i modi di pensare e di agire, certamente condizionati dai dati e dalla loro elaborazione, sia pure entro la tutela della proprietà e della riservatezza.
Familiarizzare con le espressioni del Bim
È palese, oltre che comprensibile, che il gergo, ovvero le espressioni gergali, tipiche del Bim, dall’ambiente di condivisione dei dati sino ai requisiti informativi e al capitolato informativo, oppure alla configurazione delle regole di controllo, appaiano remote, persino esoteriche, a coloro che siano adusi a modi analogici assai differenti.
La verità è, tuttavia, che digitalizzare i processi di committenza nei contratti pubblici e di verifica nei procedimenti autorizzativi urbanistici ed edilizi implica la revisione dei contenuti organizzativi e tecnici di attività che spesso si trascinano da tempo entro una sostanziale inerzia gestionale a fronte di una complessità amministrativa e procedurale esasperante.
Tali processi, essendo tradotti in dati computabili e interrogabili in tempo reale anche in remoto, svolgendosi prevalentemente in cloud, sollecitano, di fatto, fortemente una attitudine radicata al «documento», poco accessibile (ai fini della attribuzione di responsabilità) e raramente sfruttabile (ai fini della capitalizzazione della conoscenza), che non di rado privilegia l’adempimento formale nei confronti del risultato sostanziale.
Parimenti, l’incremento della attrattività finanziaria e sociale dell’investimento immobiliare e infrastrutturale, che la digitalizzazione consente, rendendo univoci, comunicabili, trasmissibili e verificabili gli elementi e gli accadimenti corrispondenti, ha come agente complementare la valorizzazione dei cespiti, intesi tanto nella loro funzionalità e sostenibilità, che impatta sulla produttività del personale della amministrazione pubblica e sul benessere dei cittadini, quanto nella redditività attesa dai programmi di dismissione, così influenti sugli equilibri economico-finanziari e politici in sede comunitaria.
Le nuove modalità, peraltro, richiedono una altrettanto profonda rivisitazione dei risvolti giuridici e contrattuali insiti nei procedimenti, in quanto tali modalità, più o meno involontariamente, rimettono in discussione assunti che si ritenevano ormai assodati e allocano diversamente le responsabilità.
Al contempo, la digitalizzazione che coinvolge gli apparati amministrativi e tecnici delle stazioni appaltanti e delle amministrazioni concedenti, pur nella specificità disciplinare e tematica, deve essere contestualizzata entro il quadro delle politiche in argomento più generali rivolte alle amministrazioni pubbliche.
Di là di quadri sanzionatori inesistenti (nel decreto ministeriale), il compito principale dei decisori politici e dei dirigenti apicali è quello di realizzare il significato ultimo dei processi digitalizzati che, ben oltre tecnicalità sottili riservate agli addetti ai lavori, presenta cospicui dividendi politici e gestionali.
Più che addentrarsi nell’intrico di acronimi tipici del Bim (AIR, CDE, BEP, EIR, IFC, LOD, LOIN, OIR, PIR e molti altri), occorre evidenziare i benefici conseguibili, a fronte di una serie di criticità da tenere in conto, che hanno a che vedere colla maturità digitale delle organizzazioni.
È chiaro, inoltre, che, sia per quanto attiene al ruolo committente sia per ciò che attiene a quello deliberante, l’amministrazione pubblica, la Domanda Pubblica, che quasi sempre versa in una profonda difficoltà in materia di digitalizzazione, dovrebbe fungere da driver della trasformazione innescando processi speculari da parte dell’Offerta, cosa che appare attualmente problematica.
Quello che si propone ai decisori politici e ai dirigenti apicali è, perciò, di utilizzare questa occasione per aumentare il protagonismo della amministrazione pubblica nella economia e nella società, in termini di influenza e di reputazione.