Il rapporto fra valore e percezione dell’ambiente costruito, catene di fornitura e percorso digitale verso la platformization: una riflessione di Angelo Ciribini dopo la Conferenza internazionale di Digital&Bim e il rapporto Cresme.
La Conferenza Internazionale di Digital&BIM Italia e la presentazione del rapporto congiunturale del CRESME, tenutesi entrambe a Bologna a una settimana di distanza l’una dall’altra a novembre, seguendo diversi percorsi, focalizzano l’attenzione sul valore dell’ambiente costruito, una entità in estensione sia dal punto di vista della contabilità nazionale (e comunitaria) sia da quello del prodotto/servizio che esso propone.
Tale dilatazione di senso e di rilievo del settore, tradizionalmente definito della costruzione e dell’immobiliare, richiede, però, una ridefinizione dei confini, degli ambiti e probabilmente anche degli attori. È, infatti, proprio entro tale contesto che si citano sempre più frequentemente le piattaforme digitali.
Si nota oggi, non casualmente, un forte interesse per le Product Platform che hanno l’ambizione di favorire una migliore gestione strategica digitalizzata delle catene di fornitura.
La tesi implicita in questi sforzi è che, attraverso una normalizzazione delle strutture dei dati (attuabili, in particolare, grazie ai Product Data Template definiti dal CEN), si possa assicurare una continuità dei flussi e degli scambi informativi lungo le filiere, così da incrementare la qualità delle transazioni e da ridurne inefficienza e improduttività.
Naturalmente, queste piattaforme digitali non funzionerebbero solo come repository di contenuti informativi, in realtà di contenuti commerciali, bensì quali, appunto, marketplace. Occorre, tuttavia, domandarsi, pur rinunciando a riflettere su ipotesi ulteriori relative alla evoluzione del prodotto immobiliare e infrastrutturale come servizio esperienziale (nozione di cui, invero, iniziano a parlare apertamente i grandi operatori internazionali), in che termini queste piattaforme, che di per se stesse hanno relativamente poco a che vedere con la vera e propria platformization industry, potrebbero generare nuovi business model.
Il punto è che l’ostinazione a ritenere che la digitalizzazione non metta in causa le strutture imprenditoriali consolidate, pur rendendo più efficienti e maggiormente efficaci i processi decisionali, non gioverà certamente alla causa.
Nessuno, ovviamente, pensa che, appunto, i dati strutturati non debbano dipendere dalla convergenza sui criteri e sulle semantiche, ma le logiche dei mercati sembrano essere più complesse di quanto non voglia far intendere un approccio omogeneizzante. L’approccio ispirato a una certa interpretabilità dei dati da parte delle macchine suggerisce, infatti, che la razionalità algoritmica sulla visibilità e sulla selezione dei prodotti non sia sempre davvero così «neutrale».<
Non per nulla, attorno ai digital marketplace si stanno configurando sistemi di definizione computazionale dei vincoli legislativi, normativi, regolamentari in senso lato, cosiddetti della digital compliance, che sul piano urbanistico ed edilizio, attribuiscano a dispositivi di configurazione «generativa» di proporre spettri di opzioni ritenute algoritmicamente «ottimizzate».
Un chiaro tentativo in questa direzione è quello avviato dal The Digital Supply Chains in the Built Environment User Group, di cui ha accennato recentemente buildingSMART Deutschland. Un conto è, infatti, raccogliere il consenso da parte delle rappresentanze che, peraltro, svolgono ottimamente il proprio ruolo di protezione di interessi che riflettono un equilibrio spesso delicato al proprio interno, altro è approntare, secondo modalità digitalmente abilitanti, catene di fornitura che permettano a ciascun operatore, o categoria di operatori, il migliore posizionamento in supply chain che, tendenzialmente, non dovrebbero essere quelle tradizionali.
La sensazione è, infatti, che, al contrario, ridisegnando giustamente le catene di fornitura, la più opportuna collocazione consenta ai singoli player di sfruttare al meglio asimmetrie informative magari inedite.
Immaginare, perciò, che sia possibile trascurare questi comportamenti competitivi attraverso una interoperabilità che consenta la perfetta comparabilità tra le offerte merceologiche, esulando persino dalle caratteristiche specifiche dei mercati domestici, potrebbe non essere una soluzione ottimale.
Le finalità che, non per nulla, insistono dietro questo «abbattimento delle barriere» ovviamente concernono l’acquisizione di nuovi fattori competitivi supportati dai data analytics e dall’automated decision making process: affidare al dato il meccanismo di transazione, lungi dal porre tutti i competitori sullo stesso livello, farebbe sì che coloro che ne conoscessero meglio l’intima essenza diverrebbero sempre più «signori del mercato». Il che potrebbe essere senz’altro elemento positivo, purché se ne sia coscienti.
Se, peraltro, consideriamo che nella autentiche piattaforme possa prevalere il principio del The Winner takes all and most appare ulteriormente problematico credere a una eccessiva simmetria nelle transazioni informative e decisionali.
In definitiva, tutte le logiche incentrate sullo sfruttamento della conoscenza accumulabile attraverso i dati non possono di per se stesse generare valore aggiunto distribuito.
O, per meglio dire, se le piattaforme digitali legate al prodotto riproducono le razionalità convenzionali, da esse, più che crearlo, tramite i dati, il valore lo si estrarrà.
D’altra parte, al centro di questi luoghi, di produzione, di componenti edilizi e impiantistici tangibili, che non appaiono solo come data factory, stanno algoritmi combinatori e predittivi tesi a orientare le scelte degli attori individuali.
Nell’Ambiente Costruito Comunitario, ovvero legato all’Area Economica Europea, la Platformization risulta sempre più come un fattore abilitante il cosiddetto Green New Deal, ponendo, di conseguenza, l’Ambiente Costruito al centro dell’attenzione, in termini di intelligenza centralizzata o distribuita, di Surveillance Capitalism e di Sharing Economy, di estrazione o di creazione di valore.
All’interno di una simile dialettica, i micro e i piccoli attori, che opportunamente sino particolare oggetto di attenzione da parte delle rappresentanze, farebbero bene, piuttosto, a riposizionarsi lungo le nuove catene di fornitura e di creazione di valore offerte dal combinato disposto tra digitalizzazione e sostenibilità invece di credere di poter perseguire la conservazione degli assetti tradizionali per il tramite dei processi digitali che, interpretati analogicamente, ne segnerebbero con molta probabilità la marginalizzazione.
Per quanto, in effetti, appaia improbabile che si avviino palesi processi aggregativi consistenti, nel luogo di confronto tra intangibile e tangibile, tra disintermediation e reintermediation, tra social network e real world, vincerà colui che saprà gestire al meglio l’ibridazione, eventualmente mantenendo inalterate le apparenze.