L’introduzione in via obbligatoria con inserimento nel Codice dei Contratti Pubblici dell’utilizzo di strumenti e metodologie digitali sancita dal Decreto 560/2017 sta avendo importanti ricadute non solo sul versante tecnico ma anche legale.
Fra queste innanzitutto il diritto di proprietà intellettuale, inteso come tutela nella creazione di oggetti, modelli e progetti condivisi, che in quanto tali possono essere facilmente oggetto di appropriazione da parte di soggetti diversi dai loro creatori.
Poiché infatti il Bim per sua natura implica una costante collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti nel progetto e, di conseguenza, lo scambio e la condivisione dei dati di progetto, emerge in tutta evidenza il problema di tutelare la proprietà intellettuale dei rispettivi autori.
Un fronte su cui la normativa è ancora lacunosa rispetto alla sempre più rapida diffusione di questa metodologia che, non va dimenticato, sta dando vita a una serie di nuove figure professionali e, in questa ottica, di soggetti il cui diritto d’autore deve trovare tutela, così come non da trascurare sono le problematiche di tutela derivanti dall’utilizzo all’interno del progetto di oggetti Bim sviluppati da terze parti che però non sono coinvolte direttamente nel progetto stesso.
Un primo e importante discrimine consiste nella distinzione fra opere complesse e opere composte, laddove in queste ultime i diversi contributi dei singoli originano un oggetto completamente nuovo, definizione in cui rientra pienamente il Bim e che di conseguenza richiede una disciplina contrattuale ad hoc che ne specifichi i contorni.
Ci sono inoltre le complessità poste da nuove figure professionali come il gestore dell’ambiente di condivisione dati o CDE, per le quali è tutt’ora dubbio se si possa parlare di diritto d’autore o, come suggerito da alcuni, di know how.
Il Cde non è infatti solo una piattaforma di raccolta dei dati ma un vero e proprio ecosistema digitale che ne permette l’elaborazione e la condivisione, che di conseguenza deve essere disciplinata tramite una chiara definizione delle responsabilità e dei diritti di tutela della proprietà intellettuale.
Un secondo aspetto, la già citata proprietà intellettuale di soggetti terzi sugli oggetti inseriti nel modello, è tuttora priva di una disciplina specifica, e le librerie sono protette da copyright.
Ma può accadere che per diversi motivi chi sviluppa il progetto abbia a disposizione librerie di oggetti personalizzate, anche tramite contributi di tipo concettuale, cosa che pone il problema di definire le eventuali conseguenze di tutto questo in termini di titolarità della proprietà intellettuale.
Ulteriore aspetto ancora da definire è la posizione del committente, che nel flusso di lavoro tipico del Bim è la figura che detta le direttive di partenza e le esigenze da realizzare attraverso il progetto, e il cui contributo è in qualche misura assimilabile a quello degli altri autori del progetto.
Le risposte alle complessità poste dai punti sopra evidenziate richiede di conseguenza forme contrattuali meno rigide, in grado di rispecchiare la molteplicità di contenuti e la loro condivisione tipiche del Bim e, di conseguenza, sufficientemente flessibili da poter disciplinare l’ampia casistica che ne consegue.
Alla contrattualistica tradizionale dovrebbero quindi idealmente subentrare i cosiddetti smart contract, singole parti di contratto digitali che tengono conto dei singoli contributi individuali al progetto.
Si tratta, in altre parole, di contratti flessibili, con clausole incorporate in software o protocolli informatici a esecuzione automatica basati sulla tecnologia della blockchain. Quest’ultima consente di individuare ogni singolo partecipante al progetto e dare via libera alle singole clausole del contratto al verificarsi o meno di particolari condizioni.
Con il contributo di Assobim