L’ingresso del Building Information Modeling nella normativa nazionale in materia di appalti pubblici ha avuto un iter relativamente rapido rispetto agli standard nazionali. Il primo esordio si può far risalire al 2014 con l’istituzione di un gruppo di lavoro focalizzato sulla riforma degli appalti pubblici, da cui è scaturito un documento articolato in cinque capitoli dedicati a Assetto normativo e istituzionale, Capacità amministrativa, Apertura alla concorrenza nelle gare pubbliche, Nuovo sistema delle concessioni e Sistema dei controlli.
Con la Legge 28 gennaio 2016, n. 11 sono quindi state attribuite specifiche deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/ UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. A seguito di tale provvedimento, sempre nel 2016 vede la luce il Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, formalizzato con il Decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50.
In questo arco di tempo le modalità di introduzione del BIM hanno trovato in ambito nazionale soluzioni eterogenee. Nel luglio 2017, due importanti indirizzi operativi hanno introdotto profili di requisiti e modalità strutturate per l’adozione del Building Information Modeling nelle stazioni appaltanti e nelle amministrazioni concedenti. Il primo è lo schema di Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) circa l’obbligatorietà dei metodi e strumenti di modellazione richiamati dall’art. 23, comma 13, D.Lgs. n.50/2016 (ora convertito in legge con il Decreto Ministeriale n. 560 del 1° dicembre 2017).
Il secondo è l'”Handbook for the introduction of Building Information Modelling by the European Public Sector. Strategic action for construction sector performance: driving value, innovation and growth” elaborato da EUBIM Taskgroup, cui partecipano delegazioni ministeriali che rappresentano quasi tutti gli stati membri, tra cui l’Italia. Entrambi i documenti contenevano regole comuni e organizzate per consentire ad un committente pubblico di implementare processi BIM nella propria organizzazione e condurre ad un ritorno di valore i requisiti inseriti nei capitolati a base di gara.
Il MIT ha in particolare scelto di dare attuazione a quanto indicato all’art. 23 del D.Lgs. n.50/2016 istituendo la Commissione composta da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e del mondo accademico, che e stata successivamente integrata da un rappresentante della rete nazionale delle professioni dell’area tecnico-scientifica.
La commissione ha avuto il compito di individuare modalità e tempi della progressiva obbligatorietà presso stazioni appaltanti, amministrazioni concedenti e operatori economici dei metodi e strumenti elettronici specifici quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture. Alla commissione, presieduta dall’Ing. Pietro Baratono, Provveditore Interregionale per le Opere Pubbliche della Lombardia e l’Emilia Romagna, hanno partecipato anche rappresentanti dello stesso MIT, dell’ANAC, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’AGID, delle Università degli Studi di Brescia, Università La Sapienza di Roma, Università Federico II di Napoli, Politecnico di Milano, della Rete delle Professioni Tecniche e di soggetti esperti del settore.
Nel processo di adozione del decreto attuativo di cui all’art. 23, comma 13 del decreto legislativo n.50/2016, la Commissione ha avviato una fase di raccolta di informazioni e pareri attraverso la predisposizione di un apposito questionario e l’audizione degli stakeholder, che ha portato ad una proposta finalizzata all’adozione del decreto. Lo schema di decreto e stato oggetto di consultazioni pubbliche nel giugno/luglio 2017, per poi arrivare alla definitiva stesura del Decreto Ministeriale n.560/2017 che ha introdotto il principio di progressiva obbligatorietà del BIM negli appalti pubblici, definendo anche la relativa roadmap temporale.
Tale documento è composto da nove articoli ed è integrato da una relazione di accompagnamento, e nella struttura generale può essere considerato un iniziale atto di indirizzo e obbligatorietà alle stazioni appaltanti e alle amministrazioni concedenti coinvolte nella progressiva digitalizzazione dei contenuti informativi principalmente degli appalti. Il decreto ha innanzitutto introdotto una serie di definizioni, finalizzate alla creazione di un linguaggio comune indispensabile alla luce dell’innovatività della materia.
Particolarmente significativo, in questa ottica, è l’accento posto sull’ambiente di condivisione dei dati, definito quale ambiente digitale di raccolta organizzata e condivisione di dati relativi ad un’opera a cui la stazione appaltante accede e in cui condivide e conserva nel tempo i contenuti informativi relativi al patrimonio immobiliare o infrastrutturale di propria competenza, definendone al contempo le responsabilità di elaborazione e di tutela della proprietà intellettuale.
Di altrettanto rilievo è l’estensione della definizione di lavori complessi rispetto a quanto previsto all’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n.50/2016, in particolare riferendo all’uso del BIM tutti quei lavori per i quali si richieda un elevato livello di “conoscenza” finalizzata principalmente a mitigare il rischio di allungamento dei tempi contrattuali e/o il superamento dei costi previsti, oltre che alla tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori coinvolti, obiettivi primari per un committente pubblico, e facendo rientrare tra i lavori complessi anche quelli determinati da esigenze particolarmente accentuate di coordinamento e di collaborazione tra discipline eterogenee, la cui integrazione in termini collaborativi è ritenuta fondamentale.
Particolarmente importanti sono gli obblighi posti a carico di stazioni appaltanti e amministrazioni concedenti al fine di poter richiedere nelle proprie procedure di gara l’utilizzo di metodi e strumenti di modellazione.
Il decreto, in particolare, fa riferimento a obblighi di formazione, in base ai quali la stazione appaltante deve definire un programma formativo del personale, la cui destinazione ai compiti inerenti non preclude comunque la possibilità di ricorrere a servizi esterni di supporto; strumentazione, con la predisposizione di un piano di acquisizione inerente agli strumenti di modellazione e di gestione informativa; organizzazione, finalizzato alla concreta implementazione dei processi digitalizzati all’interno delle strutture e delle pratiche organizzative correnti; interoperabilità, che impone alla stazione appaltante di utilizzare piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari e di connettere i dati presenti nel processo a modelli multidimensionali orientati a oggetti secondo le modalità indicate nei requisiti informativi del capitolato.
Per quanto riguarda i tempi di introduzione del Building Information Modeling negli appalti pubblici il decreto, come noto, ha adottato all’art. 6 un principio di progressività, imperniato su grado di complessità dell’opera e importo di riferimento.
Cinque le tappe previste: dal 1° gennaio 2019 l’obbligo coinvolge i lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 100 milioni di euro; dal 1° gennaio 2020 l’obbligatorietà viene estesa ai lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 50 milioni di euro; dal 1° gennaio 2021, ai lavori complessi relativi a opere di importo a base di gara pari o superiore a 15 milioni di euro; dal 1° gennaio 2022, alle opere di importo a base di gara pari o superiore alla soglia di cui all’art. 35 del Codice dei contratti pubblici; dal 1° gennaio 2023, alle opere di importo a base di gara pari o superiore a 1 milione di euro; dal 1° gennaio 2025, per finire, alle nuove opere di importo a base di gara inferiore a 1 milione di euro.
Con il contributo di Assobim